The Cult of Dom Keller (UK)

The Cult of Dom Keller

 

“Goodbye to the Light”

 

Fuzz Club Records (LP + CD)

 

Un mondo tetro, orribile e orripilante, dove gli umani sono confinati al potere di forze sconosciute, misteriose, afflitti da divinità orrendamente crudeli che dominano l’universo. The Cult of Dom Keller esplora gli stati mentali anormali, è pura follia, esiste e non esiste, è qui da prima che la natura nascesse. La psiche devastata sostiene tastiere dronanti, gocciolate nel materiale basaltico delle caverne dei dom1Ciclopi. Radiografati nei Miti di Cthulhu e desolforati in sacche metronomiche alla Sister Of Mercy.

Terzo album, “Goodbye to the Light”, una specie di nube demoniaca colma di pioggia al mercurio che emette suoni disperati, plumbea e infestata, condivisa nel rumore sconvolto e diretto discendente della viola elettrificata di John Cale. Figli della psichedelia britannica sorgono nella contea di Nottingham, singoli individui che considerano l’esistenza e ifini del mondo con la posizione dell’uomo in esso. Tramutati da filtri stellari fra synth e fuzz mostruosi, Ryan Delgaudio, Neil Marsden, Jason Holt, Al Burns, costruiscono folate sintetiche nella psiche alienata, concentrando violente espansioni, out-of-Uranus, alla dom3comprensione del significato perso nel tempo. Agonizzanti nei modi, solidamente cruenti in striature simili alla cartavetro strofinata sul ferro, espongono sperimentazioni interessanti. L’album sostiene impulsi riverberati trafitti da lacerazioni dark che invocano tessiture post-punk. Le reminiscenze psichedeliche mormorano totem-heavy e i titoli scorrono impetuosi sino al bisogno di riascoltarli infinite volte. Improbabile estrapolare il momento migliore, se non andando a toccare le corde di sonorità “trance” che regnano nelle sequenze più furiose. Forse ‘Raven And Rockets’, ‘Exterminating Angels’, ‘Astrum Argenteum’, ‘Nothing Left To Say’. Quest’ultima defluita da un retro-b movie in piena saga mechanical-chic, poema industriale di pathos apocalittico. La chiosa finale nel fuoco atomico di ‘Shambhala Is On Fire’, termina lo scudo di languorosa cosmicità.

Il four-piece delle Midlands evolve gli ambienti e trasforma incubi poliritmici, dimostrando di appartenere a radici solide e perpetuabili nel divenire. Basta andare a ripescare le dom2apparizioni nei tributi a Brian Jonestown Massacre, ‘Dropping Bombs On The White House’ (2014) e Led Zeppelin, ‘Dazed And Confused’ (2015). Due cover in linea genetica per brillantezza e intensità, solo per capire come questa sia una band dal respiro rock’roll animal, incendiato da missili balistici, in un olografico bunker underground.

 

Sandro Priarone