Fogg (USA)

Fogg “High Testament” (Tee Pee Records)

 

voto 9/10

 

In alcuni casi la storia, l’ineluttabilità del destino, vengono definiti nel nome che ci viene assegnato o di cui a volte cerchiamo di appropriarci. Per definire uno stile, una scelta o semplicemente noi stessi.

Una band con doppia “g” finale nella denominazione, Fogg, regala tanta storia all’archetipo di nebbia e fumo, conformata forse idealmente, a una connotazione quasi ascetica. Ma non solo. Basta ricordare che i Velvet Fogg furono una delle prime band di Tony Iommi e allora, già nell’appellativo, il fato gioca un ruolo determinante.

Ossessione per i Black Sabbath, influenze fogg1che vagano attraverso fusioni incontrollate come Blue Cheer, Cream, Grateful Dead. E dopo l’esordio di Death la band assume infinita raffinata potenza, fisionomia millimetrata tra proto-metal, stoner, doom, con incroci nei Free e Sir Lord Baltimore.

Ma la radice “stoney” traspare senza ferire nessuna angolazione eccentrica o parando significati che interagiscono nel profondo cuore di una antica notte di rock’n’roll. La coesione di High Testament affiora nelle cupe sonorità inghiottite da oscuri dardi acustici, una infinita scintilla che brucia sentimenti opposti, conclude e ricomincia emozioni diametralmente irraggiungibili, rette parallele di piacevole assorbimento ma capaci di energie vibranti, quiete e tempesta, colori antistanti.

Una specie di lotta tra gioia e dolore che si rispecchia in questi adoratori di riff sulfurei, mai stridenti, ma di avvenente scrittura. L’introspezione psichedelica sembrerebbe un panorama soddisfacente per definire una simile esposizione musicale. Non finché deflagra, sotto la pelle arsa, un heavy-fuzz detonante, dai contorni puliti e succosi come difficilmente capita di ascoltare. Spicchi di Blue Oyster Cult frullati e serviti in crema rancida.

Il chitarrista Chase Jowell, nato in California ma cresciuto a Fort Worth nel Texas, insieme a Ethan Lyons, batteria, con il bassista-cantante Brandom Hoffman, formano un amalgama che corrompe gli schemi, affiora morbosamente tra declivi trasportatori di flower vibe, dove confondono vecchi bikers a cui improvvisamente piazzano esplosioni desertiche, assolutamente disidratate.

fogg3“My destiny is all the same, remove the mask from my face” cosi inizia Joy Of Home con overture unplugged per sfociare in: “I doubt it will be in this age, but I shall know the joy of home” con la ragnatela tendente a Jimmy Page che cattura le vampate feroci in affondi scheletrici, quasi saturi di rabbia e tensione, disinvolti e folgoranti. Ma è l’empatia acida ad inasprire il sangue e gli ioni di idrogeno tendono a moltiplicarsi. You Are A Welcome rilascia un gusto acre decomponendo un vero gioiello lisergico, cristalli di Mirror Queen scomposti in The Open Mind. La propensione, a schiarire le nubi tossiche in suggestive atmosfere a corde, riporta il fosforo a struggenti avvenenze. The Garden mi ha riportato al fascino di Greg Lake nei primi Crimson. La patina folk lascia spazio ad ammalianti melodie con il suono etereo del flauto e dalla voce, teneramente shoegazer, che conduce alle tenui tentazioni in Hand Of The Lord, attraversata all’improvviso da una voragine fuzz che destruttura e rende insalubre la placida filosofia. Le sinistre ombre di suoni ossianici si manifestano nella appiccicosa ansia di Season, dominata da valorose tematiche doom, avvolta in sbalzi vaporosi di basso e chitarra. Mountain, uscita fogg2su singolo, cambia il ritmo morbosamente con dinamiche evocative, prende linfa dalle tastiere insane di Ryan Lee, che produce l’album, e sgorga lenti e smerigliati refrain.

La sintesi narrativo-artistica di High Testament, il sigillo finale della articolata Grass In Mind, diventa un’illustrazione groove in cui il trio si muove su sentieri impressionistici e Jowell assembla distorsioni come stesse dipingendo una tela all’aria aperta, disegnando  frammenti lirici chiaro-scuri.

“Tornerò alla terra da cui sono venuto. Fiori crescono al mio posto. Spero che un giorno riesca a trovare una casa, un posto che posso chiamare mio”. Come se l’ispirazione dei Fogg provenga da un mondo già conosciuto, riflesso. Di certo potrà impadronirsi di qualcosa d’importante, con vitale ardente inclinazione, moltiplicando desiderio e stile in una latente foggia psych-o-attractive. Naturalmente fumante, nociva, nebbiosa.

Sandro Priarone