Agusa (SE)

Agusa

“Två”

(Kommun2)

Gli intrecci tra psichedelia e progressive fanno parte della storia del rock, la natura nordica e colta degli svedesi Agusa assomiglia ad una specie di sintesi sonora delle grandi scuole artistiche sopracitate. La miscela creata agusasostiene un tessuto costante e intrecciato dove il refrain viene considerato parte integrante dell’elaborazione, un contesto lineare di suggestioni quasi invisibili, percezioni cosmo-universali intinte con colori immaginari. Chimere dissolte in illusioni favoleggianti.

Questo secondo album della band di Malmö, dopo l’ottimo Högtid, viene rappresentato come suo naturale erede (Två = Due) con una doppia suite di circa quaranta minuti globali. Le novità partono dalla formazione che diventa five-pieces con l’aggiunta della flautista Jenny Puertas e la variante del cambio alle percussioni di Tim Wallander al posto di Dag Strömkvist. Lunghi brani, completamente strumentali, che affascinano per personalità e capacità di esporre una tensione emotivamente rilassata ma di grande vigore intrinseco. L’utilizzo e l’alternanza di radici musicali diverse fra loro, un marchio del prog, viene canalizzato in chimiche vicine a origini formative simili ad Amon Düül II o, in variegati affreschi magniloquenti, nei Pink Floyd post 1970.
poster

Il lato A celebra ‘Gånglåt Från Vintergarten’ ovvero “sfilando in armonia attraverso la Via Lattea” un passaggio fascinoso esaltato dallo splendido organo Hammond di Jonas Berge contrappuntato per alcuni segmenti dal flauto. Il suono esce vitale, colmo, un’interpretazione che si impone senza fatica all’ascolto, sorprendente nel tramutarsi in nuovi motivi per poi ritornare con disinvoltura al tema principale. Berge ricorda a tratti il perenne ossequio barocco dei Colosseum di Valentyne Suite, la tastiera di Dave Greenslade rimodulata in un embrione planetario. Sino al culmine, sino al termine: misterioso, inquieto, melanconicamente sidereo.
‘Kung Bore Dans’ ovvero “la danza di Re Inverno” apre la seconda facciata dell’edizione in vinile, riprendendo l’evolvere calmo e di voluttuosa quiete della prima composizione. La semplice e creativa esecuzione sembra un disegno aggraziato alla maniera dei Camel ma nel distendersi, gradualmente, il pezzo ricerca toni più concentrati su pentagrammi che traboccano le corde di Mikael Ödesjö, avvolto in drappi Gilmouresque. Le misture anni settanta si raggruppano in ritmi dinamici sino a sommergersi, tra organo, flauto e chitarra, dentro un fuoco hard che accende una sensibilità groove articolata.
L’album esprime un equilibrio di beatitudine attraverso deliziose mestizie, assembla allegorie librando moti di notevole respiro. Nessun narcisismo e nessuna giostra indirizzata a virtuosismi effimeri, solo cerimonie appese a un docile psych-romantico. Con il cuore proteso ad espanderne i contorni.

voto 7.5/10

Sandro Priarone